LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 29
14 maggio 2017 – 5^ domenica di Pasqua
Ciclo liturgico: anno A
Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore:
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Giovanni 14,1-12 (At 6,1-7 - Sal 32 - 1 Pt 2,4-9)
O Padre, che ti riveli in Cristo maestro e redentore, fa’ che aderendo a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a te, siamo edificati anche noi in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della tua gloria.
Spunti per la riflessione
Via, verità e vita.
Sono le sue ultime parole prima di morire.
Parole che segnano una vita. La sua. La nostra.
Parole che stupiscono per la loro forza, per la calma, per il sereno abbandono nelle mani del Padre conosciuto e amato.
È Lui a rassicurare noi. Dovrebbe essere il contrario, soprattutto in quel momento.
Ma Gesù è così. Pensa prima agli altri che a sé. Pensa prima a me.
Ci chiede di non avere paura.
E usa il verbo che indica il timore suscitato dalla tempesta in mare.
Siamo sempre un po’ in mezzo al mare in tempesta. Per le nostre vicissitudini personali.
Per il clima greve che pesa sempre su noi cristiani. Per il modo in cui gli arroganti e i pazzi giocano a minacciare la fine di ogni cosa.
La paura ci prende, vero.
Che bello, allora, vedere i discepoli del Nazareno trovarsi e abbracciarsi, come accaduto nelle scorse settimane al Cairo. E abbracciare e incoraggiare altri fratelli nel padre Abramo. Che sia questo il momento in cui, infine, si vede che chi crede non ha paura e non usa mai la violenza?
Nei secoli passati e oscuri uomini religiosi hanno benedetto chi usava la violenza per imporre le proprie idee. Oggi tutto è cambiato, maturato, fiorito.
Gli uomini di fede, i pastori, dicono che chi brandisce Dio come un’arma non è un credente.
E le sue ultime parole sono chiare, nette, incoraggianti: Dio ci vuole accanto a sé e Gesù ci conduce al Padre.
Il Padre
Dio ci vuole accanto a sé. Ma non magicamente, non come chi ottiene una insperata raccomandazione, un calcio nel sedere per sedersi accanto al Padre.
Ci vuole accanto a sé come una calamita che attira a sé il ferro.
Perché in noi abita la presenza di Dio, quella magnifica scintilla luminosa che egli ha deposto nella nostra anima, che è la nostra anima. Quella scintilla divina che siamo chiamati a riconoscere, lasciar divampare, contagiare.
E per imparare abbiamo un Maestro: Gesù.
In lui abita la pienezza di Dio perché lui e il Padre sono una cosa sola.
Non come uno dei tanti maestri, rispettabili e santi, che la storia dell’umanità ci consegna.
Ma come il Maestro definitivo. Colui che, per amore, ci conduce alla pienezza di noi stessi in Dio Padre.
Tommaso ascolta. Il più grande fra i credenti, il primo dei credenti, è comunque stranito, a disagio.
Come?
È la domanda che chi, come me, ha avuto il privilegio di dedicare la propria vita all’interiorità si sente rivolgere tante volte. Una domanda che io stesso ho posto.
E la risposta è sempre la stessa, e ce la dona Gesù.
Via
Essere cristiani, a volte lo dimentichiamo, significa essere di Cristo, seguire Gesù, imitare Gesù, fidarsi di lui. Conoscerlo, anzitutto, e lasciarci amare. Frequentare la sua parola nella meditazione, cercarlo nella preghiera personale e comunitaria, riconoscerlo nel volto del fratello povero.
Il cristianesimo è una proposta di cambiamento radicale del nostro modo di vedere il mondo e Dio. E lo facciamo ascoltando e seguendo il Maestro.
In un mondo stracolmo di opinionisti e piccoli leader che urlano gli uni contro gli altri, Gesù indica se stesso come percorso, la porta attraverso cui le pecore possono uscire dai tanti recinti (anche religiosi!) in cui ci hanno rinchiusi.
Diventare cristiani significa amare come Gesù ha amato, seguire la via, che non è un insieme di belle nozioni, ma una persona.
Buffo: molti propongono la fede come un monolite di cose in cui credere o di rigidi comportamenti da tenere. Gesù, invece, ci dice che l’intera nostra vita è un percorso, fatto di sudore e stanchezza, di pause ristoratrici e di paesaggi mozzafiato.
L’importante è non essere rassegnati e morti, anche nella fede. Ma sempre pronti a camminare, a conoscere, a curiosare, a sapere, ad evolvere.
Come nell’amore umano, se la fede non si coltiva, avvizzisce.
Verità
Gesù è la verità.
Verità che esiste e che chiede di essere accolta in un mondo che nega la possibilità stessa che esista una verità (eccetto una: quella che non esiste nessuna verità!), o che riduce la verità a livello di opinione, in un malinteso senso di tolleranza, mettendo tutto e tutti sullo stesso piano, come se la libertà significasse che nulla più è autentico.
In un mondo che tutto relativizza, Gesù, con determinazione ma senza arroganza, con autorevolezza ma senza supponenza, pretende di conoscere la verità su Dio e sugli uomini.
All’uomo contemporaneo che, come Pilato, gioca a fare il cinico e chiede cos’è la verità, la Chiesa proclama non una dottrina ma, nuovamente, una persona: Gesù è la verità, dice la verità, ci conduce alla verità.
E la verità è evidente, si impone, non ha da convincere. Ma solo un cuore onesto, disincantato, ragionevole è in grado di coglierla.
Ciò che il cercatore di Dio è invitato a fare è mettersi in gioco, fino in fondo, non barare, non impigrirsi ma cercare, restare aperto e disponibile alla crescita intellettuale ed interiore.
E, se possibile, dedicare qualche energia alla conoscenza: non se ne può più di un cristianesimo approssimativo e solo emotivo!
Vita
Chi ha scoperto Gesù nel proprio percorso può affermare con assoluta verità che il Signore gli ha donato la vita.
Esiste una vita biologica che può anche essere intesa e coinvolgente.
Ma una vita interiore, spirituale, allarga l’orizzonte, ci situa in un progetto di cui siamo chiamati a far parte, ci cambia radicalmente la vita biologica, riempiendola di una gioia intima, profonda, eterna.
Gesù è la vita e dona la vita e il cristiano ama la vita e la dona.
Anche se la propria vita è acciaccata o dolorante, il discepolo sa che è un gigantesco progetto d’amore quello che si sta manifestando nel nostro mondo.
Ora sappiamo, come Tommaso. Anche noi, come lui, dobbiamo passare sotto l’epifania di Gesù in croce per capire la pienezza di queste parole. A anche attraversare il mare dell’incredulità e della prova. Ma dopo, lo sappiamo, il risorto è lì che ci attende.
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L’Autore
Paolo Curtaz
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Esegesi biblica
Gesù “Via, Verità e Vita” (14, 1-31)
Continua in questo capitolo il primo discorso di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,36-14,31). Questo discorso al pari del successivo (cc. 15-16), non si muove secondo un rigoroso senso filologico, ma presenta una costante atmosfera di commiato da parte di Gesù riguardo agli apostoli, e forti esortazioni alla fede e all’amore.
- Gli apostoli sono in uno stato di profondo turbamento (14,1-14) per le tre predizioni che Gesù ha fatto poco prima relativamente al tradimento di Giuda (13,21), alla sua dipartita da questo mondo (13,33) e al rinnegamento di Pietro (13,38). Gesù li esorta a superare tale momento difficile invitandoli a credere in lui in modo rinnovato e più profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (versetto 1). In questa esortazione a continuare a credere (il verbo “credere” è al tempo presente!), è notevole il fatto che la fede in Gesù (“in me”) venga messa sullo stesso piano della fede “in Dio”; questo parallelismo si ripresenta poco dopo con il verbo “conoscere” (“Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” v. 7) e con il verbo “vedere” (“Chi ha visto me ha visto il Padre” v. 9). Si tratta quindi di un’unica fede, che ha per oggetto sia il Padre che il Figlio: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (12,42; cfr. 1 Gv 2,23). La ragione profonda di questo sta nel fatto che il Figlio possiede la stessa natura divina del Padre, come viene detto più avanti (vv. 9-11: “… Io sono nel Padre e il Padre è in me…). Per questo motivo anche la preghiera viene rivolta sia al Padre (cc. 15-16) che al Figlio (14,14).
Gli apostoli, mediante l’esercizio della fede, devono affidare la loro esistenza concreta, specialmente il turbamento di quel momento, al Padre e al Figlio; questo affidamento donerà loro una nuova luce, che li aiuterà a comprendere come la dipartita del Maestro sarà seguita da una sua presenza ancor più vitale.
- L’amore di Gesù e i suoi effetti (Gv. 14, 15-31)
Ora il discorso si sposta sul dono dello Spirito Santo. Per consolare i discepoli, rattristati per la sua dipartita ormai imminente, Gesù fa queste promesse che realizzerà con la sua morte e risurrezione: lo Spirito Santo verrà ad abitare per sempre nei discepoli (vv. 15-17), lui stesso ritornerà da loro (vv. 19-21). E ancora lui e il Padre verranno in chi ama Gesù e prenderanno dimora presso di lui (v. 23). Il brano è dunque impostato in forma trinitaria, in modo tale da non separare le tre persone divine, per cui lo Spirito Santo è dato dal Padre su richiesta del Figlio, e, al pari dello Spirito Santo (v. 17), anche il Padre e il Figlio verranno ad abitare nel credente (vv. 21.23).
- “Il Paraclito sarà in voi”
Il brano inizia precisando in che cosa consista il vero amore dei discepoli nei riguardi di Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15). Il comando dell’amore si unisce armoniosamente anche alle altre due promesse: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (v. 21), e Gesù si manifesterà a lui: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (v. 23), il Padre e il Figlio prenderanno dimora presso di lui”. Infine, il v. 24 ripete in forma negativa i concetti precedenti: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”.
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Sono doverosi alcuni rilievi. Si tratta innanzitutto di un amore di risposta a quello di Gesù stesso, che da sempre ha amato i discepoli di amore infinito: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Va anche ricordato che Dio è amore e sorgente dell’amore: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4,10; cfr. 4,8.16). Ne segue che l’amore dei discepoli verso Gesù è solo amore di risposta. Inoltre, si tratta di un amore non sentimentale, ma concreto, fondato sull’accoglienza della parola di Gesù e sulla pratica della sua volontà. La pratica dell’amore fraterno – richiamata vigorosamente nei discorsi dell’ultima cena (13, 34-35; 15, 12-14) - è il segno manifesto che il credente ama davvero il Figlio e il Padre: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (15,12), e “chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,21). Infine, è proprio questo amore concreto e operoso per Cristo che apre all’uomo la vita della comunione trinitaria.
Affermato il precetto dell’amore, Gesù promette: “Il Padre vi darà un altro Paraclito” (v. 16). Solo Giovanni usa questo termine forense “difensore” per indicare sia lo Spirito Santo (14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (“Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” 1 Gv 2,1). Quindi, il Paraclito è, al pari di Gesù (“un altro Consolatore”) persona divina. Viene chiamato anche “lo Spirito di verità (v. 17; 15,26; 16,13) e “Spirito Santo” (15,26).
L’opera del Paraclito, secondo i discorsi dell’ultima cena, è molteplice.
- Nei riguardi di Gesù: gli rende testimonianza dinanzi ai discepoli (15, 26-27) e lo glorifica (16,14).
- Nei riguardi dei discepoli: rimane in loro (v. 17), è loro maestro (14,26) e guida (16,13), in quanto li introduce alla piena comprensione dell’insegnamento di Cristo e li rende testimoni (15,27).
- Nei riguardi del “mondo”, considerato qui come ostile alla verità e all’amore è critico: un mondo del genere non può conoscere lo Spirito di verità (v. 17), lo Spirito denuncerà le colpe del mondo (16, 8-11).
Ci sono inoltre affermazioni fondamentali riguardanti l’ “inabitazione” dello Spirito. Il Padre darà ai discepoli il Paraclito “perché rimanga con voi sempre” (v. 16), e Gesù dice che lo Spirito di verità “dimora presso di voi e sarà in voi” (v. 17). Se si bada attentamente a queste affermazioni si possono individuare due fasi della presenza dello Spirito sui discepoli.
- La prima riguarda il periodo della vita terrena di Gesù: per il fatto che lo Spirito “scese e rimase” (1,34) su di lui, ne consegue che grazie alla presenza di Cristo in mezzo agli apostoli, anche lo Spirito “dimora presso di voi”.
- A questa fase ne succede un’altra che incomincia con la risurrezione, quando lo Spirito sarà “in voi” e “per sempre”. Quindi alla fase della “vicinanza” succede quella dell’ “inabitazione”, che prosegue per tutto il tempo della Chiesa (”per sempre”): questa fase è anche la nostra.
- “Ritornerò da voi”.
Accenniamo alle altre due “immanenze” – quella del Figlio e quella del Padre – nei credenti. La glorificazione di Gesù non solo comporterà il dono dello Spirito (7,39), ma anche la presenza del Risorto nell’intimo dei discepoli: “In quel giorno – nel periodo escatologico che inizia con la Risurrezione di Gesù e termina con la sua parusìa – voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20). Si tratta non soltanto delle apparizioni pasquali (“voi mi vedrete” v. 19), ma anche della luce della fede che fa conoscere le relazioni che intercorrono tra il Maestro e i discepoli (“voi in me e io in voi”), relazioni analoghe a quelle che esistono tra Figlio e Padre (“io sono nel Padre”). Gesù non ci lascia orfani perché dimora in noi.
- “Prenderemo dimora presso di lui”.
Gesù afferma: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).
Si conclude così la serie: lo Spirito Santo, Figlio e Padre vengono ad abitare negli apostoli e nei cristiani di ogni tempo, e questi possiedono già ora un anticipo della presenza beatificante del cielo.
Ci chiediamo: una dottrina così sublime, quale è quella dell’inabitazione della Trinità nel credente, come può essere accolta dall’uomo d’oggi, tanto preso dalle cose materiali e immediate?
È questo uno dei casi nel quale dobbiamo fare affidamento sull’efficacia della parola di Dio e sull’aiuto della grazia. L’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo hanno proposto una dottrina del genere non solo ai giudei, ma anche ai pagani, che l’hanno accolta. Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906) ha fatto di questa dottrina il fulcro della sua santità: “Ho trovato il cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nella mia anima… i tre che abitano in me… mio Dio Trinità che adoro”. Forse l’uomo moderno aspetta, più che mai, che gli venga indicata questa sorgente purissima della rivelazione del Nuovo Testamento.